La principessa e il pagliaccio


Inizialmente i personaggi di questo spettacolo erano dei testoni di cartapesta da portare sui trampoli nelle sfilate di piazza, per radunare pubblico. La principessa non era una principessa ma una ragazza che, corteggiata a suon di rime dal diavolo in persona, veniva difesa da un pagliaccio attraverso una gara di versi improvvisati.

Dopo qualche anno mi venne in mente di raccontare una storia che contrastasse in qualche modo uno dei maggiori stereotipi delle storie per bambini. Ovvero la principessa insipida, indifesa e incapace che viene salvata e poi sposata da un principe azzurro, ricco, galante, coraggioso e intelligente (più di lei sicuramente).

Volevo raccontare la storia di una principessa che non avesse bisogno del principe e che fosse in grado di affrontare da sola le sfide di un'avventura. Mi sembrò che i vecchi personaggi delle sfilate in piazza fossero ideali per questa impresa e fu così che iniziai a scrivere un racconto che doveva essere messo in scena con dei burattini. Purtroppo a racconto finito, per mille motivi, i burattini non furono mai costruiti.

Alla fine, quando sembrava che il progetto stesse per tramontare, acquistai quasi per caso le maschere del diavolo e del pagliaccio. Poi, quando ebbi bisogno di raccontare una storia in classe come parte di un laboratorio didattico, decisi finalmente di cominciare a narrare le vicende della principessa, nata nel frattempo grazie a una gentile donazione. Non avrei saputo dove andare a cercare una bambolina di stoffa così dolce.

Mi resi conto che la storia funzionava e che piaceva ai bambini, così non dovetti far altro che raccontarla ogni volta che potevo. Dopo un anno circa di laboratori, il mio spettacolo era passato dai dieci minuti iniziali a più di un'ora, senza che me ne accorgessi.

Una cosa però mi colpisce ancora, ed è che più della metà dei bambini, quando all'inizio chiedo loro com'è fatta una principessa, con molta sicurezza rispondono che di solito le principesse sono bionde... e basta. Tant'è vero che spesso rimangono scioccati quando vedono che la principessa della mia storia è “nera come una pantera”. Un amico psicologo mi disse che questo provoca in loro uno stato di disagio cognitivo, conseguente all'individuazione di un elemento problematico che prima era vissuto come normale o non percepito affatto, ed io ho pensato: uao! Addirittura, quando all'interno di alcuni laboratori chiedo ai bambini di disegnare i personaggi di questa storia, ogni tanto spunta fuori qualcuno che la principessa la disegna bionda nonostante tutto.

Credo che poter ricordare ai bambini che le ragazze se la possono cavare benissimo senza principe azzurro e che le principesse possono essere sì bionde, ma anche nere, o marroni o gialle, siano due ottimi motivi per raccontare questa avventura, che non parla solo di questo ma anche di viaggi, di musica e di magia.