La centralinista


È una normale mattinata casalinga di lavoro d’ufficio, le ore volano a suon di mail e telefonate. Ho anche scritto alcuni testi e pagato qualche bolletta, niente male insomma. È quasi ora della pausa pranzo e penso già a quello che mi riscalderò in cucina e a quello che leggerò mentre mangio. Lo confesso, quando sono da solo mangio davanti al computer, guardando video e leggendo roba frivola d’attualità. Sono pronto a staccare quando squilla il telefono, mi pare giusto, penso. Dal display del telefono sembra un numero normale, perciò rispondo, anche se di mala voglia. Lavoro è lavoro.

Faccio un respiro per cercare di darmi un tono. Pronto. Attacca subito una voce femminile vivace e gentile. Salve, il signor Tot? Si ricorda che tempo fa ci siamo sentiti? È per l’offerta del caffè. Rimango in silenzio un secondo. Caffè? Ma cosa diamine… Fermi, ho capito. Sì, era la signorina che tempo fa aveva cercato di vendermi una macchina per il caffè. Dato che sono fondamentalmente un codardo, non sono riuscito a dirle che non mi interessava, anzi, l’ho ascoltata e invece di dire semplicemente “no, grazie” ho balbettato non so bene cosa. Penso che lei, chissà come, riuscisse a fiutare la mia esitazione, perché tatticamente ha deciso di non premere troppo, chiedendomi invece di rimandare il colloquio. Ok, ho detto, perfetto, mi chiami tra qualche settimana. Pensavo di aver risolto la questione. Anche se mi sentivo in colpa per averle fatto perdere tempo, non volevo né comprare la famosa macchinetta né dirle di no, pareva brutto, così quella volta sono riuscito a sfangarla con la vigliaccheria. Poi però le settimane sono passate, San Giovanni non vuole inganni e i nodi prima o poi vengono al pettine, così ecco di nuovo la signorina telefonista, bella pimpante dall’altra parte della linea, chiedendomi conto della mia viltà.

Penso che dovrei uscire a testa alta da questa situazione, così decido che stavolta sarò chiaro, ardito e risoluto. Guardi, comincio a dire, in questo momento… Non riesco a finire perché lei taglia subito: ci vogliono pochi minuti per descrivere la nostra offerta, non le faccio perdere tempo, i nostri prezzi sono sicuramente vantaggiosi, acquistare una delle nostre macchine per lei è un guadagno. Ci casco come un tordo e chiedo incredulo: guadagno? Al che la signorina mi fa un elenco velocissimo delle tipologie di macchinette e dei prezzi al chilo del caffè che ci va messo dentro, il tutto confrontato con le marche più conosciute in commercio. Non mi lascia scampo, non posso dire che mi sembra caro, non c’è verso. Divago sulla questione del gusto ma lei ribatte dicendo che l’arabico è il migliore “come lei ben sa”, quindi mi rimangio tutto. Con voce da mendicante le dico che non ho tempo, che devo fare altro ma lei risponde con tono materno che se voglio mi può chiamare l’indomani. Preferisco la mattina o il pomeriggio? A quel punto, incastrato come un topo, opto per la verità: guardi, la ringrazio ma non sono interessato. Lei ricomincia con vigore: facilità di pagamento, servizio a domicilio, c’è anche un omaggio. Guardi, ripeto quasi con vergogna, grazie ma non sono interessato. Entro la fine del mese, dice, i nuovi clienti avranno uno sconto. Grazie, non sono interessato. Mi arriva una frecciata: mi ha chiesto lei di richiamarla, si ricorda? Sì, ma la verità è che non sono interessato, grazie, davvero. Si arrende: ho capito, grazie a lei e buona giornata.

Rimango con il telefono in mano per due o tre secondi. Estenuato e senza fiato, non riesco neanche a chiudere la chiamata. Ce l’ho fatta, penso, a uscirne con dignità. Mi rendo conto che c’è ancora il rumore di una voce che proviene dal telefono. Senza un motivo, avvicino di nuovo l’orecchio in silenzio e sento urlare la gentile signorina di prima. «Grazie dice! Grazie! Dicono tutti grazie! Dicono sempre grazie! Che gentedimmerda c’è a giro!»

Immagine flickr/matman